Come i migliori 50 ristoranti al mondo riscoprono e innovano con i fermentati, non solo in cucina ma in veri e propri laboratori
Un racconto coinvolgente su come i fermentati – da kombucha a miso, da garum a kimchi – stiano diventando protagonisti nelle cucine dei World’s 50 Best Restaurants 2025, trasformando antiche tradizioni in vere e proprie avanguardie gastronomiche

La classifica The World’s 50 Best Restaurants 2025, svelata ieri sera al Lingotto di Torino in una cerimonia storica, ha incoronato Maido di Lima come miglior ristorante del mondo. Il ristorante peruviano guidato da chef Mitsuharu “Micha” Tsumura conquista il gradino più alto del podio, seguito da Asador Etxebarri (Atxondo, Spagna) al secondo posto e Quintonil (Città del Messico, Messico) al terzo.
L’Italia si distingue con sei ristoranti in classifica: Lido 84 (16°), Reale (18°), Atelier Moessmer di Norbert Niederkofler (20°), Le Calandre (31°), Piazza Duomo (32°) e Uliassi (43°). Per la prima volta la cerimonia si è tenuta in Italia, con una serie di eventi che hanno acceso i riflettori sul patrimonio enogastronomico del Piemonte e sulla nuova mission degli chef, sempre più impegnati sul piano sociale.
La vittoria di Maido di Lima rappresenta molto più di un semplice riconoscimento gastronomico: è la celebrazione di una filosofia culinaria che abbraccia la contaminazione culturale e che gioca con curiosità con fermentazioni e alimenti fermentati. Il ristorante Nikkei di Mitsuharu “Micha” Tsumura utilizza diversi ingredienti fermentati tipici sia del Perù che del Giappone. Ad esempio viene servita la chicha de jora, bevanda tradizionale di mais fermentato, per accompagnare il menu degustazione. Nei piatti, l’influenza giapponese porta fermentati come il miso (impiegato ad esempio per marinare il pesce) e il mais fermentato. Pur non essendo il vero e proprio fulcro concettuale della cucina di Maido – centrata piuttosto sulla fusione Peru-Japan – queste fermentazioni servono a intrecciare ancor più profondamente i sapori delle due culture (come l’umami del miso o l’acidulo della chicha) all’interno del percorso gastronomico.
In questo articolo vogliamo provare a raccontarvi il rapporto tra molti dei The World’s 50 Best Restaurants 2025 e gli alimenti fermentati, di questa relazione a volte maniacale e ossessiva che in molti di questi posti sta prendendo sempre più piede. Buona lettura.
La Fermentazione: Dal Passato al Futuro dell’Alta Cucina tra i World’s 50 Best Restaurants 2025
La fermentazione, una delle più antiche tecniche di conservazione alimentare dell’umanità, sta vivendo una vera e propria renaissance nell’alta ristorazione contemporanea. Questa ricerca su 50 ristoranti stellati rivela che la maggior parte di essi incorpora attivamente ingredienti e tecniche fermentate nei propri menu, trasformando quela che un tempo era una necessità di sopravvivenza e in una tecnica di conservazione dei cibi, in un’arte culinaria sofisticata.
I motivi di questo rinnovato interesse sono molteplici. La fermentazione permette di sviluppare profili aromatici impossibili da ottenere con altre tecniche, crea texture uniche e contribuisce alla sostenibilità attraverso la riduzione degli sprechi alimentari. Inoltre, l’aspetto salutistico gioca un ruolo crescente: gli alimenti fermentati sono ricchi di probiotici e enzimi benefici per la salute.
I ristoranti nordici e dell’Asia orientale guidano questa rivoluzione. Già nel 2021 infatti il celeberrimo ristorante Noma, guidato e condotto dallo chef René Redzepi e votato all’arte della fermentazione, ponendola come cardine centrale di quell’incredibile macchina di ricerca e sperimentazione che è, venne votato come numero uno tra World’s 50 Best Restaurants del 2021. Quell’anno e quell’evento sancìirono infatti il 2021 come l’anno degli alimenti fermentati. Da lì in avanti sempre più si è parlato e sentito parlare di cibi e bevande fermentate: non solo nell’alta ristorazione o gli appassionati, ma anche tra le persone comuni. Certo non significa che prima questi incredibili alimenti non facessero parte delle cucine dei migliori ristoranti al mondo o che non esistessero laboratori e produttori di fermentati (Fervere è stata fondata nel 2017 ad esempio), ma dal 2021 l’attenzione su questo tema e l’utilizzo/consumo di questi alimenti è nettamente aumentato.
Risultato? Della lista dei 50 migliori ristoranti al mondo appena pubblicata, la gran parte di loro includono e ne fanno cuore pulsante dei propri menù, alimenti e bevande fermentate. I risotranti scandinavi fanno un po’ da locomotiva di questo treno di cibi in trasformazione e in continuo mutamento, e sempre più trattano la fermentazione come elemento centrale della propria filosofia culinaria. Seguono i ristoranti asiatici e quelli europei.
La geografia della fermentazione riflette tradizioni culinarie millenarie: dalla Scandinavia, dove la conservazione invernale ha sempre richiesto tecniche avanzate, all’Asia, culla di alimenti fermentati iconici come miso, kimchi e kombucha. Tuttavia, è l’approccio innovativo di questi ristoranti a distinguerli, trasformando tecniche ancestrali in laboratori di ricerca gastronomica. Andiamo ora a scoprire tra i World’s 50 Best Restaurants 2025 quali cucine, quali chef, hanno perso la testa per il mondo della fermentazione.
Non solo Chef e Brigate, ma veri e propri Maestri della Fermentazione tra i 50 Migliori Ristoranti al Mondo
Laboratori di Ricerca Nordici: L’Avanguardia Fermentativa
- Alchemist (Copenhagen) La cucina multisensoriale di Rasmus Munk spinge all’estremo tecniche innovative, e tra queste spicca la fermentazione come mezzo per creare sapori inediti. Nel percorso da 50 portate troviamo, ad esempio, un dessert intitolato Lifeline con ganache al sangue di maiale e garum di sangue di cervo fermentato 3 mesi – un condimento tanto estremo quanto sorprendentemente armonioso. In altri atti, Munk serve un piccione frollato nella cera d’api e accompagnato da tartufo nero fermentato e salsa ai ribes rossi fermentati; oppure presenta un dip di pomodoro fermentato insieme a burro affumicato come “edible plastic” provocatorio. Fra le bevande abbinate compaiono kefir aromatizzati e kombucha (come quello di pomodoro abbinato a un finto tinto de verano). La fermentazione è davvero centrale nella filosofia di holistic cuisine dell’Alchemist: Munk ha un intero staff di ricerca dedicato ai fermenti e un “fermentation department”, dal koji ai kombucha, considerando la fermentazione un ponte tra cucina e scienza, capace di “aggiungere un livello di complessità vivo” ai sapori. Non a caso l’esperienza del Alchemist spesso sfida il palato con note forzatamente “funky” frutto di fermentazioni sapientemente orchestrate per stupire e deliziare.
- Kadeau (Copenhagen) viene descritto dai clienti e dai critici come “il paradiso del cibo fermentato” per la loro maestria nella fermentazione. La cucina di Nicolai Nørregaard è fondata sull’autenticità e la stagionalità dell’isola di Bornholm, e la fermentazione occupa un ruolo centrale nel suo approccio New Nordic. Durante le stagioni più calde, la squadra raccoglie bacche, erbe e verdure selvatiche, poi le conserva – fermentando, salando o marinando – per tutta la stagione fredda, mantenendo attivo il ciclo del patrimonio gastronomico locale. Durante la Preservation Season (ottobre-maggio) il menù si riempie con piatti fondati su ingredienti fermentati o conservati – come crauti, ortaggi in salamoia e succhi fermentati di erbe e bacche.
- Frantzén (Stockholm) integra la fermentazione attraverso il loro concetto fusion nordico-asiatico, proponendo un brodo di funghi fermentati (chiamato “fermented mushroom tea”), asparagi bianchi fermentati e aglio fermentato in multiple portate, e miso e salse fermentate come miso mustard e plum vinegar. Il ristorante dimostra come le tradizioni fermentative nordiche possano essere potenziate da influenze asiatiche. Lo chef Björn Frantzén integra infatti la fermentazione come strumento raffinato, capace di aggiungere profondità ai piatti, ma non come tema dominante dell’esperienza gastronomica.
Maestri Asiatici della Tradizione Fermentativa
- Narisawa (Tokyo) la cucina di Yoshihiro Narisawa è profondamente radicata nella sostenibilità e nel racconto della natura giapponese, e la fermentazione è un elemento fondamentale, non solo tecnicamente ma anche concettualmente. Nei piatti appare spesso miso, salsa di soia fermentata (shoyu) e sake kasu (fecce di sakè) usati per marinare pesci e verdure. Viene preparato pane fermentato , l’iconico “Bread of the Forest“, durante il servizio, cotto all’interno di foglie di cedro direttamente al tavolo, creando un’esperienza multisensoriale basata sulla lievitazione in tempo reale. Questi fermentati costruiscono il famoso umami “river-foodscape” della cucina di Narisawa, espressione di una fermentazione ancestrale ma raffinata.
- Potong (Bangkok) per la chef Pam Soontornyanakij la fermentazione è celebrata e studiata come motore creativo e strutturale. Esiste una vera “fermentation room/bar” con decine di vasi di kāng pǔ chá (kombucha thailandese-cinese) con frutta, erbe, radici e spezie locali. Vengono prodotti in loco salse di soia fermentata, aceti di diversi generi, e tante altre estrose preparazioi. Il ristorante integra la fermentazione nel loro approccio filosofico, incorporandola nel loro framework culinario “5 Elements” insieme a selezioni di kombucha da loro prodotto e verdure lactofermentate.
- Mingles (Seoul) Lo chef Kang Mingoo considera la fermentazione come cuore pulsante della cucina coreana contemporanea, e i fermentati sono assolutamente centrali nel suo menu degustazione: La triade coreana jang (doenjang, ganjang, gochujang) è presente ovunque, definita dallo chef come “ the magic ingredient della nostra cucina”. Il percorso di degustazione è arricchito da kimchi, sottaceti fermentati e persino un dessert fermentato.
- The Chairman (Hong Kong) è massima manifestazione della maestria fermentativa cantonese tradizionale attraverso preparazioni signature come i fagioli neri fermentati, combinazioni di peperoncini fermentati e preparazioni di vino Shaoxing invecchiato. Il loro “steamed grouper fish head with fermented chilli and salted lard” rappresenta la punta di diamante del loro menù e diventa archetipo di come sperimentazione e fermentazione trovino la loro massima espressione nella ristorazione di lusso. Vengono inoltre serviti limoni fermentati sotto sale per 20 anni e century eggs.
- Sorn (Bangkok) qui la fermentazione è la linfa vitale della cucina del Sud della Thailandia, e la chef Supaksorn Ice Jongsiri la eleva a ingrediente narrativo e gustativo. Il piatto simbolo include tai pla (viscere di pesce fermentate), elemento fondamentale e altamente umami nel curry tipico tailandese. Sono utilizzate anche kapi (pasta di gamberi fermentati), nam pla (salsa fermentata di pesce) e altri fermentati locali in quasi ogni piatto, acquistati da artigiani del Sud della TYailandia.
Innovazione Europea: Tradizione e Sperimentazione
- Piazza Duomo (Alba) Alla corte di Enrico Crippa la terra parla, e sebbene il suo percorso sia un inno alla freschezza dell’orto e alla stagionalità, la fermentazione compare come un compagno discreto ma determinante. Nel suo menù in continua evoluzione non mancano verdure e ortaggi leggermente latto-fermentati, spesso recuperati dall’eccedenza dell’orto: pensiamo a foglie più fibrose o a radici marginali che, grazie a una breve fermentazione, acquistano aroma e delicatezza senza perdere la purezza e il colore naturale . Caratteristica è anche quella sottile acidità che accompagna i piatti, ottenuta tramite aceti di produzione propria, usati con discrezione per esaltare il vegetale anziché sovrastarlo. La famosa “Insalata 21..31..41..51” con fino a 126 varietà di verdure, molte delle quali fermentate o sottaceto è l’icona di questo incredibile ristorante.
- Ikoyi (London) qui Jeremy Chan ha creato un delicato connubio tra culinaria britannica e spirito africano, in cui la fermentazione prende spazio come anima potente del racconto sensoriale. Nella sua cucina spicca l’uso di peperoncini Scotch bonnet fermentati, verdure sott’aceto e pickles – ingredienti che definiscono intensità e carattere ai piatti . Ogni portata beneficia di queste basi fermentate: dal riso, ai piatti di pesce e carne, fino ai contorni in menu. Persino i piccoli piatti “farm-to-plate” portano un residuo acidulo o speziato che ricorda la profondità del fermento. La fermentazione a Ikoyi non è un optional, ma un elemento narrativo e gustativo essenziale: senza queste note pungenti e ricche, l’esperienza del menu perderebbe gran parte della sua idntità.
- Atelier Moessmer Norbert Niederkofler (Brunico) Nella filosofia “Cook the Mountain” di Niederkofler fermentazione e conservazione sono strettamente intrecciate alla sostenibilità (zero sprechi) e all’esaltazione del terroir alpino. Qui si raccolgono erbe, bacche e selvaggina, e si applicano tecniche – tra cui spiccano anche fermentazioni lunghe come quelle di prugne gialle o i “ketchup di montagna”. La fermentazione quindi non è solo presente, ma è completamente integrata nella narrazione, insieme a una filosofia di sostenibilità e di rispetto del circuito del produttore all’ospite. Il ristorante impiega tecniche estensive di fermentazione e conservazione per lo stoccaggio invernale, utilizzando metodi di conservazione alpini tradizionali per ingredienti di montagna locali per mantenere l’autenticità stagionale tutto l’anno.
Pionieri Latino-Americani: Riscoperta delle Radici Indigene
- Boragó (Santiago) Dietro al tavolo di Boragó c’è l’impegno di Rodolfo Guzmán per una cucina che racconti il terroir cileno, esplorando ogni angolo dalla Patagonia al Deserto di Atacama. La fermentazione si intreccia profondamente a questo progetto: Guzmán ha creato un vero e proprio laboratorio interno dove seleziona piante, frutti, erbe e radici autoctone, molte delle quali vengono fermentate o in salamoia prima di finire nei piatti – un legame diretto con la terra e la stagionalità, radicando ogni aroma nella memoria del territorio. Nel “Endémica”, che raggiunge fino a 20 portate, ogni ingrediente fermentato è un atto di rispetto verso la biodiversità cilena, capace di narrare una storia antica con tecniche moderne . La fermentazione, in questo senso, non è un dettaglio: è un centro propulsore della sua filosofia, che mette in risalto identità del luogo, studio e innovazione. fine.
- Rosetta (Mexico City) qui Elena Reygadas crea una cucina che fonde rispetto per il locale e maestria italiana, e la fermentazione si manifesta soprattutto attraverso la paneficazione e la produzione di pasta artigianale. Ogni giorno nella Panadería Rosetta si producono pane e pasta con lievito madre e fermentazioni lente, ricreando sogni di consistenza e aroma. La papabile “masa madre” di frumento e mais ha fermentato per anni, come testimonia Reygadas, – pratica che conferisce una mollica fragrante e profumi più complessi . Si utilizzano carote fermentate nel mole bianco e pesche fermentate nelle bevande.
- Celele (Cartagena) A Getsemaní, Celele è un progetto gastronomico che rivisita la diversità del Caribe colombiano, basandosi sui rapporti con artigiani e produttori locali. Il suo menu “risponde alla stagionalità e processi di fermentazione partendo da materie prime regionali”. Qui la fermentazione non è un’aggiunta tecnologica, ma parte di un filo conduttore tra cultura, territorio e comunità: si fermentano frutti, radici e pesci, si ripropongono metodi ancestrali – lo scopo è far risuonare il sapore autentico del Caribe, tra fiori, spezie, sali marini. Fondata attorno al Caribe Lab, questa cucina pulsa di fermentati locali, utilizzati con rigore ma anche con poetica: ogni fermento diviene atto di memoria collettiva, sentore olfattivo e gusto identitario.
- Quintonil (Mexico City) – terzo posto nella classifica 2025 – Il ristorante di Jorge Vallejo incorpora molti elementi fermentati sia della tradizione messicana sia di nuova concezione, come il tepache (bevanda frizzante ottenuta da scorze d’ananas fermentate) da servire come drink analcolico creativo. Il team di Quintonil possiede un laboratorio di fermentazioni dove si producono bevande fermentate come il “Jun”, simile al kombucha ma a base di tè verde e miele locale, che il ristorante serve in abbinamento ai piatti. Sul versante food, la chef Alejandra Flores (moglie di Vallejo) e il team hanno sperimentato fermentazioni nei dessert e recuperato preparazioni antiche: salsas di mais nixtamalizado e leggermente fermentato, pickles di verdure (es. ravanelli e cipolle in agrodolce). Nel complesso la fermentazione è importante nella loro filosofia – “un equilibrio tra conservare e trasformare” – in quanto tecnica per massimizzare sapore e sostenibilità.
Il Rinascimento Fermentativo: quando i World’s 50 si fanno laboratorio
La fermentazione, da “banale” strumento di conservazione, è diventata uno dei pilastri concettuali e tecnici della ristorazione contemporanea, grazie a chef lungimiranti e cucine che hanno scelto di farne non solo una presenza discreta ma uno scopo identitario. Quello che emerge dalla nostra panoramica tra i World’s 50 Best Restaurants 2025 è una tendenza chiara: dalle vette nordiche di Alchemist, Kadeau e Frantzén, fino ai sapori ancestrali di Narisawa, Potong, Mingles, The Chairman, Sorn, passando per il dialogo terroir-internazionale di Piazza Duomo, Ikoyi, Boragó, Rosetta e Celele, ovunque l’atto della fermentazione è un codice di appartenenza, una dichiarazione di stile.
Eppure non è solo all’interno delle cucine stellate che questo fermento si espande. Il caso di Noma Projects — con la sua gamma di garum, miso, kombucha e altre pazzie fermentate vendute direttamente online — dimostra che la fermentazione può uscire dal ristorante e plasmare anche la tavola casalinga. Noma infatti ha trasformato il suo laboratorio di ricerca in una dispensa condivisa, portando umami e creatività fermentativa nelle case di tutto il mondo.
In questo movimento la fermentazione non è più solo storia, cultura e appeal sensoriale: è metodo, innovazione, economia circolare, salute, e — soprattutto — un filo rosso tra passato e futuro della gastronomia. Perché fermentare oggi significa rendere il gusto più profondo, la cucina più sostenibile e il cibo un catalizzatore di emozioni, memorie e comunità.